da una lontana lettura
Gerardo Acierno
Sono duemila anni e più che il quadrante del Tempo ha bloccato su di sé quell’ora terza. L’ora quando Lo crocifissero. Quel drammatico segnatempo che è la Croce di Cristo noi lo abbiamo sotto gli occhi come tutte le cose della nostra vita. Quel triangolo di legno marcio è nei nostri quotidiani sensi. Abita con noi. Ė in fondo al rosario, penzola tra le mani dei fedeli, donne e uomini di buona volontà mentre pregano. Qualche bizzarro artefice dei nostri tempi lo porta attorcigliato al polso o nascosto tra le dita mentre arringa gente sempre arrabbiata. Quel triangolo per tanti di noi è diventato soltanto un oggetto. Lo abbiamo scolpito in ogni modo. Lo abbiamo colorato in modo strambo e confuso. E un po’ alla volta stiamo dimenticando quell’ora terza, quando gli artigiani di quel Calvario non fecero fatica picchiando con i loro martelli sui chiodi che penetravano nella Sua Carne. Stiamo dimenticando il Suo lento finire; la Sua sete e la Sua cancrena. Eppure, in quell’ora terza, in quel triangolo di legno marcio tanto somigliante ad una forma di abbraccio, l’Uomo da larva si faceva libellula e tornava dal Padre Suo. Egli era venuto a portare un messaggio di pace; aveva tirato fuori musica da pani rinsecchiti, da sgualdrine e da morti. Ma noi –allora come ora – abbiamo scelto il rumore sanguinolente delle guerre, la vergogna delle miserie, l’obbrobrio delle diseguaglianze, l’ebbrezza delle lussurie e del comando ad ogni costo. E Gli abbiamo messo due chiodi nelle mani. Era l’ora terza di un giorno di duemila e più anni fa. Il dramma, il nostro dramma, continua.