QUADRIGLIA E MARCETTE DA MATTINATA VIENNESE

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LUCIO TUFANO

cronache di inizio novecento

Cosce in sequenza, folate, zampate di vento di puledre in età, di giumente domate nei campi di biada del fattore, anche prepotenti, nervose, scattanti che si dissolvono nelle fe­ritoie dei vicoli e si nascondono dietro la gobba dei balconi (agghindati dai ricami delle nonne). Cosce inghirlandate, intraviste tra i crespi delle sottane, nei coni d’ombra delle porte socchiuse, a briglia sciolta, scorribande fuori del paese, lontano dalle torri e dai campanili vigili nel timbro della voce: guance, dolci guanciali dei primi grembiuli, nella neve e nel sole degli anni, un tortuoso via vai di gerani, un leggero battito d’ali. C’è un cambio di dama nell’angusta visiera del tenente dei dragoni.

Una quadriglia di desideri inventati, intentati, tentati e mai ripresi.

Nell’antico Teatrino di s. Nicola, in piazza Sedile, saranno inaugurati gli spettacoli serali. Pongano limite i vetturini alle pretese, in fondo ci sono cavalli che fanno pietà e non val­gono una tariffa. Eppoi possono un cavallo e un carrettiere, un mulo o un asino, che sia, attardarsi ad una fontana pubblica, alla sorgente dei vicoli e delle case, avere ospitalità nel sottoscala e ammorbare i giardini o le aiole in fiore? Non è un orto il vicolo, non è un letamaio. Altri sentieri, altri percorsi battono i ferri degli equini. Ed anche le donne: la fontana non è un bagno turco, un pubblico lavatoio per le bandiere dei tuguri senza luce e senza acqua.

È nel fiume, sulle pietre levigate, che possono sbattere le araldiche tele della loro dina­stica miseria. Che non si provochi e che non duri, nelle rulli e le mozzarelle inaspettata­mente offerte dall’avvocato Capece, prodotte nella sua fattoria.

Dopo tanto anche il teatro con Piccola fonte, Quel non so che, I disonesti, Lucrezia Borgia, e applausi, applausi all’insuperabile creatore della macchietta, Nicola Maldacea.

Non si contano le richieste di bis dopo Il ladro, Quanto prima, I maggiolini.

Per La Vedova allegra, si è fatta domanda di concessione del teatro, al Municipio (Compa­gnia Italiana di operette, proprietario Riccardo Baidi).

Una gara di paure e di incertezze è l’inverno rigido, così e così sospeso alle stagioni di mezza estate, agli imbuti del meteorologo nella stanza che sovrasta i tetti, e misura la febbre alle nubi, alle correnti, agli umori di una città che va in decompressione e segna il barometro della finestra.

Un batiscafo della noia e della atonia, una nave sommersa e che giace nel fondo dei sa­lotti, dei circoli, della cantine, dove, con la buona volontà degli uomini, un soffio di vita aleggia propizio per gli impiegati, per la fredda musoneria nel torpido tedio e nella mimi­ca degli sbadigli. E le serate, di nessuna parte del mondo, aspettano pallide, nei tentacoli inerti dei portoni, le signore in cosmesi per la fatica degli occhi e dello spirito, per rivivere o dimenticare in un momento fuggevole le algide nove della vita quotidiana. E le romanze Ho detto al core, «Vissi d’arte», e i versi aprono e riprendono le danze, e fiori, fuori, fiori, narcisi, lillà, mughetti, violette, garofani e bottiglie di coriandoli e di stelle filanti. E la festa che si fa d’estate è come quella che si fa nei giorni di Carnevale. Si conserva, nel chiuso delle sale, una primitiva aria condizionata dai crespi, nel chiuso dei sogni e dei ricordi.

Una festa dei trapassati, prima che sia è stata. Un ballo delle nonne e delle nipoti. Gene­razioni di tacchi e sopratacchi, di generali e sottotenenti per una storia in famiglia e fra famiglie che si arredano di ritratti e di negativi per un film da tinello e in contrazione. Gli spasmi storici nel baùle della camera. Scambio di doni, pignate, pipe e sigari Marvilla con porta-fiori in cristallo, in ceramica e piccoli ventagli di piume.

Teatrino in famiglia, Antonietta in collegio, commedia in tre atti, in casa del maggiore dei carabinieri. Trattenimento in amicizia. Farà seguito la farsa Funerali e danze, data otto febbraio, alle ore quattro e mezzo del millenovecentodieci.

Millenovecentodieci, il nuovo secolo ha dieci anni e indossa ancora i bavaglini, i grembiu­lini stile liberty.

Le signore indugiano nei prati, decorano gli ippodromi e le tribune delle prime corse au­tomobilistiche. Le impalcature del monumento al Padre della Patria cadono con fragore e si preparano le feste per il cinquantenario dell’Unità. Giolitti ha una politica, la conquista di Tripoli.

Apoteosi della canzone napoletana: E. A. Mario «perde suonn pe’ Maria».

Addio Cafè-chantant, il varietà s’è impossessato dei teatri, che senza tavoli e e consuma­zioni ospitano i dive e le dive alla moda.

I teatri alla moda ospitano Fernando De Lucia e Maria Farneti e quelli di prosa Zacconi, Novelli e Tina Di Lorenzo. Alle canzonettiste, romanziste e ai duettisti si alternano coppie di danza, giocolieri, comici musicali, uomini prodigio, ipnotizzatori, illusionisti, maghi, ci­clisti e quadri plastici; non v’è alcuna politica per gli spastici.

La dichiarazione di guerra è consegnata, alla Sublime Porta, dall’incaricato di affari esteri italiano, anche se si è vinta la battaglia per il suffragio universale e si è appena debellato il colera, ancora attivo a Cancellara e a Rotonda.

L’Italia di Giolitti esige l’assoluto dominio del mare.

Sbarcano a Tripoli i cinquantamila di Caneva.

Un’operazione voluta dalle industrie del nord bisognose di logiche guerrafondaie, dalla cultura nazionalista che, sin dalla esperienza africana di Crispi, rinfocola il discorso della parità con le grandi potenze d’Europa e dalla media borghesia meridionale che vede una diversa e più utile destinazione della emigrazione e un maggiore reddito dal commercio dei prodotti africani.

L’onorevole Lacava, decano della Camera, pronuncia il suo saluto ai combattenti «… ed è questa l’ora nostra! Ho detto: questa è l’ora nostra. Quando tuona il cannone non vi sono né vi debbono essere dissensi politici né distinzioni di parte …».

«La Provincia» plaude e sostiene i comizi, i cortei, gli scioperi degli studenti a favore dell’aggressione, giustifica la spedizione «Dio rinnovi nel mar che fu nostro il fato divino di Lepanto … Dio sia con gli italiani», fa largo uso della retorica sntiturca e antibeduina, pubblica inni agli olivi della terra promessa.

 

La «Squilla Lucana» si domanda se l’Italia ha i miliardi per rendere produttiva una regione tre volte più grande, di un milione di chilometri quadrati, che non ha un solo fiume e per la quale, a grande distanza di tempo, occorrerà un estesissimo rimboschimento, una ri­costituzione del regime delle acque piovane, una grande viabilità, impianti agrari, la co­struzione politica ed amministrativa adatta a rinnovare zone così estese, dal momento che basta pensare con quanto stento e in quali misere proporzioni si applicano le povere leggi speciali su Napoli, sulla Basilicata e sulle Calabrie.

Malgrado il vento impetuoso, Piazza, Moiro, Rossi e Gavotti si sono innalzati a volo ed hanno compiuto brillantemente il servizio di esplorazione … il nemico si sta ritirando.

Un cannoneggiamento lento, ma ben diretto, spazza continuamente l’oasi, sulla fronte dei nostri avamposti. Le granate, cadendo fra le pattuglie di arabo-turchi che osano inoltrar­si, ne fanno una continua strage … Il morale degli ufficiali, dei soldati e dei marinai è sem­pre più elevato.

Sul forte di Sultania sventolano le repubbliche marinare.

 

Potenza 23 ottobre 1910

 

Il celebre trasformista Frizzo, imitatore perfettissimo, insuperabile, di «Fregoli», è al no­stro Comunale.

Uno spettacolo di prim’ordine perché, sia nelle imitazioni che nelle creazioni, Frizzo si ri­leva artista fine e squisito. Parodie, tipi, macchiette, eccentricità sono il clou applauditis­simo. Bene la Gina Ireas, il Sandrolf, la Scola.

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Sull' Autore

LUCIO TUFANO: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE “Per il centenario di Potenza capoluogo (1806-2006)” – Edizioni Spartaco 2008. S. Maria C. V. (Ce). Lucio Tufano, “Dal regale teatro di campagna”. Edit. Baratto Libri. Roma 1987. Lucio Tufano, “Le dissolute ragnatele del sapore”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “Carnevale, Carnevalone e Carnevalicchio”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “I segnalatori. I poteri della paura”. AA. VV., Calice Editore; “La forza della tradizione”, art. da “La Nuova Basilicata” del 27.5.199; “A spasso per il tempo”, art. da “La Nuova Basilicata” del 29.5.1999; “Speciale sfilata dei Turchi (a cura di), art. da “Città domani” del 27.5.1990; “Potenza come un bazar” art. da “La Nuova Basilicata” del 26.5.2000; “Ai turchi serve marketing” art. da “La Nuova Basilicata” del 1.6.2000; “Gli spots ricchi e quelli poveri della civiltà artigiana”, art. da “Controsenso” del 10 giugno 2008; “I brevettari”, art. da Il Quotidiano di Basilicata; “Sarachedda e l’epopea degli stracci”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20.2.1996; “La ribalta dei vicoli e dei sottani”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Lucio Tufano, "Il Kanapone" – Calice editore, Rionero in Vulture. Lucio Tufano "Lo Sconfittoriale" – Calice editore, Rionero in Vulture.

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