Cesena 10 agosto 1867. Ruggero Pascoli tornava a casa dopo una giornata di affari. Nei pressi di Savignano venne avvicinato da due oscuri sicari che con una fucilata da pochi metri lo uccisero per un motivo rimasto nel tempo irrisolto. Era il padre di Giovanni Pascoli. L’assassinio restò impunito e segnò profondamente l’animo del poeta insieme alla scomparsa, l’anno seguente, della sorella maggiore, Margherita, e della madre. Dal 1867 al 1876 Giovanni perse quasi tutti i suoi parenti più stretti. Non rimanevano che altre due sorelle minori, Ida e Maria, verso le quali Giovanni provò un amore enorme. Vinta la borsa di studio, nel 1873 Giovanni si era trasferito a Bologna per studiare lettere dal professore Giosuè Carducci. Fu un periodo di fermento spirituale e d’irrequietezza d’animo che lo vide aderire ai primi movimenti socialisti legandosi ad ambienti vicini all’estremismo politico. Per le sue partecipazioni attive in manifestazioni contro il governo nel 1879 vide addirittura aprirsi le porte del carcere, con l’accusa di attività sovversiva. In tutto questo il Carducci ebbe sempre grande stima del suo allievo Giovanni, tanto da “raccomandarlo”, subito dopo che ebbe preso la laurea, per inviarlo in un liceo di Teramo, quindi non lontanissimo dalla sua amata Romagna. Il Carducci scrisse una lettera a Ferdinando Cristiani, preside di un Liceo Classico della città abruzzese, proprio con questo proposito, era il giugno 1882. Scrisse: “Caro Cristiani, se tu hai bisogno di un ottimo insegnante, di un giovane molto per bene, ma che per essere di molto ingegno e di animo generoso e buono, ha bisogno di trovarsi in mezzo a galantuomini, domanda al Ministero per il tuo Liceo-Ginnasio il Pascoli Giovanni. […] È stato mio scolaro e il Gandino ne ha moltissima stima”. Da notare come Carducci fa una premessa dichiarando le condizioni sociali con le quali il Pascoli potrebbe dare il meglio di se, ovvero “ha bisogno di trovarsi in mezzo a galantuomini”. Altrimenti con le cattive compagnie non ha proprio avuto una buona reputazione. Il Cristiani inviò la richiesta al Ministero ma a settembre arrivò la chiamata da una regione remota e a lui sconosciuta: la Basilicata.
Giovanni era preparato a tutto e lo rivelò anche a suo cugino Antonio, scrivendo “Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so ancora dove, forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese, ed io ho risoluto di trovar bella la vita, e piacevole il mio destino“.
Il decreto ministeriale giunse al Pascoli in data 21 settembre 1882 e, subito dopo la nomina, il Pascoli prese carta e penna e scrisse al suo “amico” e “maestro” Carducci queste righe: “Pregiatissimo signor professore, con decreto ministeriale sono stato nominato reggente di lettere latine e greche al liceo di Matera, che è quasi l’anagramma di Teramo ma che è molto più lontana. Per una parte sono contento: mi dispiace per un’altra, per non potermi trovare sotto il Preside Cristiani con l’amico Ricagni. Lo stipendio è uguale. La ringrazio del moltissimo che ha fatto per me […]”. Lo stipendio si aggirava in circa 1720 lire annue.
Pare che comunque sia stato lo stesso Carducci a spingere il Pascoli ad accettare la destinazione materana dopo le prime esitazioni sull’ inizio della sua carriera scolastica. Il tutto per non stare troppo lontano dalle sue amate sorelle.
La seconda preoccupazione di Giovanni furono le spese di viaggio. Dopo la morte dei genitori e dei fratelli la sua condizione economica era precipitata. Non aveva che pochi spiccioli raccolti attraverso lezioni private. Chiese così un sussidio al Ministero che non si tirò indietro, accordandoglielo e partì il 2 ottobre per la sua nuova vita in Basilicata portandosi dietro oggetti personali e delle treccine che la sorella Maria aveva pensato di legare per lui.
Dopo un inizio di viaggio triste e malinconico Giovanni iniziò a scoprire il meridione passando dal Gargano e dal tavoliere, ammirando i monti “sacri” verso i quali non mancò di dedicare alcuni versi in latino. Poi il suo amato adriatico che durante il viaggio non mancò di seguirlo fino a Bari dove scrisse per la prima volta alle due amate sorelle. Dopo una sosta di due giorni a Bari e presa a Grumo una diligenza per Matera, attraversò con la carrozza l’entroterra murgiano verso le terre di Orazio, accompagnato da un “trabalzar di vettura, attraverso luoghi sinistramente belli, intravisti di notte per vie selvagge”; e ancora attraversando “foreste paurose al lume della luna, cullato dalla carrozza..”. Sappiamo per certo che Giovanni giunse a Matera tra il 6 e il 7 ottobre, in una notte fredda e piovosa; costretto a ripararsi sotto una volta con un compagno di viaggio. Passerà tutta la notte seduto sulle valigie, non potendo permettersi una stanza d’albergo.
Il Liceo “Emanuele Duni” di Matera aveva sede in un Convitto nell’ex Seminario diocesano, in quella che era la cosiddetta civitas, la parte alta della città, che si ergeva sui Sassi. Due grandi fossati in cui risiedeva la maggior parte della popolazione materana. Oltre al Liceo erano alcuni Palazzi, la scuola, la Sottoprefettura, il Comune ed alcune abitazioni civili.
Il 19 dello stesso mese scrisse la prima lettera alle sorelle ma in onore della sua piccola Ida che, in quel giorno, compiva 18 anni. Il fratello non volle mancare all’appuntamento con una poetica struggente e malinconica. Era la seconda lettera scritta alle sorelle dalla Basilicata, la prima era stata scritta qualche giorno dopo il suo arrivo in città e descriveva la sua nuova destinazione, commentando anche i costumi dell’epoca: “Matera è una città abbastanza bella, sebbene un poco lercia anche lei; e c’è difficoltà ad albergare. Se vedeste! I contadini, o cafoni, vanno vestiti nel loro selvatico e antiquato costume e stanno tutto il giorno, specialmente oggi che è domenica, girelloni per la piazza. Hanno corti brachieri e scarponi grossi senza tacco, una giacca corta e in testa un berrettino di cotone bianco e sòpravi un cappello tondo. Sembra che si siano buttati dal letto in fretta e in furia, e si siano messi per distrazione il cappello sopra il berretto da notte”.
Dopo un primo momento di scoramento , specie nel suo primo anno di insegnamento, ottenne il permesso di riordinare la biblioteca del convitto e, grazie a questo incarico, ebbe una cameretta più decente “anche se si sentono i topi. Ma prenderemo un gatto!” scrisse alle sorelle tempo dopo.
Giovanni lamentava molte lacune nel liceo e nella città, fuori dal suo ordinario mondo culturale bolognese ed infatti scriveva come “Non c’è un libro qua: da vent’anni che c’è un liceo a Matera nessuno n’è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno d’un qualche libro; i professori pare che abbiano avuto tutti la scienza infusa […]”.
Del suo soggiorno lucano si ricorda anche una visita di Giovanni Pascoli a Viggiano. Era il luglio 1884 e venne chiamato quale commissario di esami. Scrisse una lettera alle sue sorelle il 21 dello stesso mese: “Il paese dal quale scrivo è in fondo alla Basilicata, perduto tra i monti. Per venirci da Matera bisogna rompersi le ossa per due giorni continui, sui muli, sulle carrozze, nel vapore, passar fiumi e arrampicarsi sulle montagne, costeggiare precipizi. Ma state tranquille che sono lietissimo di spirito e floridissimo di persona […]”. Dalla sua momentanea casa viggianese il Pascoli non mancò di scrivere al suo maestro Carducci, chiedendogli due professori per il liceo.
Dopo la permanenza a Viggiano Giovanni rientrò a Matera. Non vi rimase molto perché a ottobre dello stesso anno riuscì ad avere il trasferimento a Massa.
In Toscana riuscì a farsi raggiungere anche dalle sue amate sorelle e non rivedrà mai più la Basilicata e i suoi contadini “girelloni in piazza” la domenica mattina.