Uno scenario che sembra perfezionarsi in tutta Europa è la scissione che non paga. O meglio, la riverniciatura che si scrosta. Tutti i tentativi di salvare qualcosa dell’ultima stagione del socialismo europeo stanno miseramente fallendo. Se i Partiti socialisti europei non s’accorgeranno di dover archiviare idee, politiche e slogan di destra, sarà la Storia ad archiviare loro.
Forse il caso che fa scuola sarà quello francese. Il Paese della Torre Eiffel aveva il Partito socialista più ammirato d’Europa, e anche il più radicale. Quando venne fondato, da François Mitterand, venne unito mantenendo una certa vocazione rivoluzionaria. E l’elezione del Presidente socialista doveva preannunciare un vasto programma di riforme radicali – poi fatto fallire, anticipando il grande voltafaccia della socialdemocrazia europea.
Ebbene, questo Partito non esiste semplicemente più. Il suo ultimo candidato alla Presidenza della Repubblica, Benoit Hamon, ha mietuto appena il 6% dei suffragi. E c’è da chiedersi quanti voti sarebbe riuscito a portare a casa, se fosse prevalsa la candidatura follemente liberista (hollandiana) dell’ex Primo ministro Manuel Valls. Il PS francese è stato divorato da due creature speculari: l’onnivoro estremista di centro Emmanuel Macron, e il puro agitatore di sinistre Jean-Luc Melenchon.
La socialdemocrazia è morta? Questo verdetto è forse esagerato. Una stagione è però chiaramente finita: la Terza Via. O meglio, la via neoliberale al socialismo. Tutti i partiti socialdemocratici d’Europa ormai sono condannati a morte. A meno che non decidano di abbandonare la strada scellerata che hanno imboccato vent’anni fa. Divorati a destra da soggetti molto più credibili nel campo liberale (En Marche! in Francia, Ciudadanos in Spagna, l’asse liberal-democristiano in Germania) e a sinistra da nuovi poli che si radicano sul territorio e sugli elettorati più popolari (France Insoumise in Francia, Podemos in Spagna, il recentissimo caso dei Grunen in Germania e, che lo si ribadisca, i 5Stelle in Italia).
Falliscono tutti i tentativi di “riverniciatura”. Tutti i Partiti socialisti che provano a preservare la propria classe dirigente e parte del loro programma sono in crisi. Il PD, al momento in caduta libera, forse smetterà di sanguinare solo quando si trasformerà una volta per tutte nel partitino che Renzi voleva costruire per scissione (il polo liberale macronista). Hamon, “ministro di” Hollande, assomiglia alla vana impresa di Orlando di riportare la socialdemocrazia nel centrosinistra. La continuità dirigenziale, la fedeltà al passato, l’idea che basti profumare gli ambienti con qualche ideucola retorica («l’agenda Monti più qualcosa» – cit.) distrugge compagini incapaci di parlare alla gente. Non sono credibili, ergo non sono votabili. E nessuno li vota.
Le uniche eccezioni in un panorama tendenzialmente omogeneo sono il Partito laburista (Gran Bretagna) e il Partito socialista operaio (Spagna). Ma sono eccezioni che confermano la regola. I loro leader sono carismatici, coerenti e discontinui col passato. Lottano senza risparmiarsi e interloquiscono senza vergognarsi delle parole e delle idee in totale rottura col passato liberista. E vengono ripetutamente premiati nei sondaggi. Se lasciati fare. Basta che la fronda blairiana s’infiammi un pochino, che comincia il tiro a freccette (anzi a Corbyn). Che non a caso sgonfia il Labour nei sondaggi. In Spagna, col povero Sanchez, è lo stesso.
Qui è la strada. Non basta e non serve cambiare leader o cambiare partito. Lo dimostrano anche le scarse performance di certe sigle storiche (o falsamente nuove) della sinistra radicale. Pensiamo al mancato decollo di Izquierda Unida in Spagna, fagocitata da Podemos. Oppure allo sgonfiarsi del Partito scozzese (un partito fortemente di sinistra), al mancato decollo della Linke in Germania, agli ultimi spasmi dei partitini della sinistra italiana. Queste opzioni minori sembrano osteggiate dal popolo: e lo sono perché chiuse, retoricamente, o in continuità con i dolorosi e scellerati Governi passati, o in una discontinuità parolaia e metafisica, incapace di relazionarsi con la realtà.
Morirà la socialdemocrazia storica italiana ed europea. Nei Partiti socialisti, oppressa da classi dirigenti incapaci di rottamare la loro idea neoliberista del mondo. Nei Partiti più radicali (lo diciamo? comunisti?), soffocata da millenari dibattiti filosofici sul sesso degli angeli. Morirà, è inevitabile, e rinascerà altrove.
L’operazione per rifondare il socialismo e la socialdemocrazia in quei partiti non può passare che da una sola strada. L’abiura del modello «progressista», il ripristino dei concetti di sfruttamento e di malattia del sistema economico, la lotta per un mondo che permetta a tutti di trovare lavoro e felicità. Il grande sogno dell’universo socialista europeo è sempre stato trovare un posto nel mondo a ciascuno. Ed è stato questo sogno a costruire grandi partiti e modellare il Continente più avanzato del pianeta. Se non si ritorna a questo sogno, sarà qualche nuovo partito venuto dal nulla a impossessarsene.
I grandi partiti socialisti (e le schegge impazzite che da questi si scindono, nel tentativo di accreditarsi come “i bravi socialisti d’un tempo” caricandosi a bordo pezzi di gente e di programmi del peggio degli ultimi vent’anni) si curino dalla sbornia della globalizzazione. «Respingiamo l’austerity, o la gente respingerà noi». Jeremy Corbyn ve l’ha detto: se non lo capite, togliete il disturbo.