TOLVE, NEGLI ANNI DEL LITTORIO

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LUCIO TUFANO

Un soffio di aria modernista accoglie il lettore che si accinge a compiere il viaggio intrapreso e interamente percorso dall’autore dentro l’epoca degli anni del Littorio.

Non è solo la nuova struttura, l’edificio scolastico, bensì tutto ciò che in esso si infervora come igiene delle scolaresche, nuovi modi e tempi dell’apprendimento, nuovi testi di lettura e libri, le adunate e gli esercizi, il potere visibile, ravvicinato e le uniformi, i costumi e i nuovi ruoli. Il gruppo di galantuomini veste in modo diverso, parla e ragiona in chiave moderna.

Il verde delle acacie d’estate sollecita le passeggiate e le esibite conversazioni dei sofisti, un ambiente diverso per il diversivo borghese dei galantuomini. Gli insegnanti scoprono interessi vari e discutono del metodo globale, si aggiornano alla nuova cultura, ed alimentano le aspirazioni nell’ottenimento di incarichi di regime.

Un risveglio insomma, rispetto al sereno torpore dell’800 e al quieto sentimentalismo del primo ‘900, insediato dalle distanti sventure delle guerre. S’instaura una nuova socialità, la convivenza civile, programmi nuovi di pedagogia e d’iniziative, una più evidente esibitoria, nuove occasioni d’incontro e di frequentazioni, al Circolo, con imprenditori, impiegati ed agricoltori, un blando antifascismo. Questa la retrospettiva e l’analisi antropologica e sociale che, Pinuccio Mattia fa della categoria dei galantuomini, una sorta di élite.

Ma perché galantuomini? Detto così non per retorica tra valgo e signori, o tra gentili e cafoni com’era nel secolo trascorso. Veniva così sottolineata una diversa condizione sociale ed economica tra liberi professionisti, impiegati ed insegnanti, con quei pochi che ancora si fregiavano di una casata, o di qualche nome particolare. Si tessevano discussioni di varia natura, dettagli e sfumature, non mancavano dei veri e propri pettegolezzi dalle trame note o misteriose.

Si realizzava e si riportava un repertorio, il teatro paesano di sberleffi e gravità, con quella sorta di quasi blasonata sicurezza, la convinzione di essere infallibili ed immuni, perfino i vizi ed i tabù della comunità. Era il rigido e “deteriore meridionalismo del sesso”, le corna, la verginità delle bigotte o delle zitelle, il moralismo … con l’immancabile rispetto e considerazione del mondo contadino. Non mancavano le perplessità e le arroganze, la tenace arroganza di chi è convinto delle proprie idee o di chi presumeva di essere più edotto su di una questione.

Al tavolo verde, le carte da gioco, i destini delle puntate, sigari e sigarette con cicche nei colmi portacenere.

E poi la poesia di don Antonio Pastore a Felice Mattia.

È questo mondo di personaggi, di vicende, un immenso teatro contenuto in una moviola cinematografica, un inspiegabile “anacronismo”, onfalos – come si suol dire – ombelico del mondo, dal quale sono sempre partiti i grandi scrittori per raccontare le più strane umanità. Aneddoti, battute, scenette di una umanità presa nella sua particolare estrosità, teatralità di ironie e di metafore. Una descrittiva antropologia, basata sui ricordi dell’autore, o su una sorta di memoria orale, ricavata da conversazioni tenute con gli anziani del paese oppure dalle dicerie di vicoli e di piazza.

Personaggi ritagliati nelle loro stanze, e rifiniti nei lineamenti e nei ruoli di comportarsi e di agire, di parlare; personaggi stagliati in un sipario da una abile regia. Non manca la dettagliata cronaca di fatti, di posti, di epoche e di contrade, tutte riguardanti un profondo e vasto microcosmo, quello del paese attraverso stagioni, nebulose di pace, di guerra e di regimi, di orientamenti e di mentalità.

Due riflessioni sono da fare: in considerazione della dettagliata storia delle amministrazioni: 1) la prima è che con questa storia si dimostra come anche un paese come Tolve si manifesti e si riveli una polis, la città a stratificazione borghese, attraverso due strutture, quella più radicale del Circolo e quelle più fragili e altrettanto essenziali come lo sholè dell’avv. Costabile, entrambe alvei siderali, planetoidi atti a navigare nello spazio e nel tempo, epoche intraviste e riprese con cura e apprensione sentimentale e nel contempo scientifica da un cosmonauta della microstoria come Pinuccio Mattia; 2) l’altra riflessione è quella che riguarda l’assenza di una raffigurazione dettagliata di un albero genealogico per capire quanti Mattia avrebbero pervaso ed occupato le scene; 3) e come mai dopo tanti Mattia galantuomini, proprietari ed esponenti di partiti e correnti politiche al potere, non vi sia infisso sul portone un blasone di nobiltà che promuoveva i galantuomini a nobiltà? Acquisito dai Borboni a stemma araldico?

Mastro Domenico, il calzolaio, la descrizione dettagliata e antropologica di un formidabile personaggio, dotato di sarcasmo anche in punto di morte, quando sfugge all’estrema unzione ed alla commiserazione del parroco con una blasfema espressione: “cù lu cazz cà lu … preute me trove vive cramatina”, sia quando fa lo scherzo alla sorella alla quale aveva sottratto la gallina, dandole la sensazione di essere stato destinatario della sua maledizione “u disgraziat se l’hanna mangià inta nu funn ri liett e gl’hanna spuntà i penn r’la gaddina inta la facc”.

Una scorreggia ventosa e rumorosa, avvertita dalla moglie, viene giustificata come un evento meteorologico – “stanott men vient” – e per dare maggiore veridicità, la bagna con una orinata. Alle reazioni della moglie: “sorella mia, non lo sai che dopo il vento arriva la pioggia”.

È una sfida alla miseria come ironia e strafottenza, “dai falegnami e maestri d’ascia allisciano la coscia e s’ammoccano la fica moscia”. Vi è anche don Vincenzino Laraia – professore di Liceo – dagli ammaestramenti filosofici, massime e riflessioni sulla cristianità (gli ebrei e Gesù). I pregiudizi sui giorni della settimana Martedì e Venerdì.

Il racconto di come artigiani e contadini senza bagliolo, reperissero un posto all’aperto per i loro bisogni, e la descrizione della piazza al crepuscolo, quando piccoli crocchi di uomini immobili come statue, non si scambiavano parole, e lo sguardo nel vuoto.

Don Riccardo e il fratello Antonio, figli di don Giulio Mattia, prematuramente scomparso (e del nonno Alessandro), il quale ricco di famiglia agraria era stato spossessato dal fratello Giovanni, sulla cui tomba, la cappella gentilizia fatta edificare dalla vedova, per una vendetta blasfema, va ad operare una lunga pisciata.

Mecca Ponente e la figli Maddalena, un racconto dell’avv. Antonio Costabile; nel vicolo 1° Purgatorio, un popolame di galline, maiali, asini in calore, cani liberi all’accoppiamento, chiamata Maria, da Domenica, e Ponente, dal tratto della fiumara dove dopo il bucato stendeva i panni sui rovi dei “grattaculi”, il vento favorevole, “vieni Ponente, vattinne, scoscia forte. Alla guisa degli universi meridionali perlustrati dagli scrittori più geniali, De Crescenzo, De Filippo, Domenico Rea … l’universo di Pinuccio Mattia è popoloso, teatrale, originale, una umanità degna dei gironi danteschi. Rocco il casalese, fidanzato di Maddalena e Peppuccio il marito di Mecca, carcerato. Una sera, nevicava fitto, con i vicini, Caniuccio il lupinaro, Pasquale Pisciafuoco, Caniuccio Ciccantonio, Filomena Mustano, Antonio Furfucone, Marietta Spaccone e Rocco Massarida, si erano ritirati. I cani non latravano più, i gatti si erano rintanati … senza il miagolio dell’amore.

Una serata di gusto primitivo e primordiale, con cena a pasta di csa ben condita di sugo e pecorino del pastore … una serata eccitante anche per il vino che vendeva Paolina Giordano. Rocco si corica con le due donne su invito bandito di queste, per la cattiva notte di neve e freddo. I bambini nati sono oggetto del pettegolezzo moralista. Ma la civiltà di Tolve, per niente meridionale o mussulmana, risolve tutto quando tornato dal carcere delude le aspettative di violenza di tutti, e si affaccia alla porta con i due pargoletti, Rocco arriva con l’orciolo di vino per festeggiare.

I tre dell’Ave Maria. Don Felice De Angelis, don Paolo Moles e don Emilio Stigliani, tre sacerdoti degli anni Trenta, tollerati e non visti con l’occhio malevolo del moralismo bigotto, avevano messo al mondo numerosa prole, e con il rispetto dovuto a chi, malgrado tutto, esercitava il ministero del sacerdozio: intelligenti, colti e dotati di umanità. L’autore li descrive dal puno di vista della fidionomia, dell’età e dei comportamenti. Don Felice riceveva la visita pastorale del Vescovo di Acerenza e le manovre per il vino nascosto, si dà apparire un astemio agli occhi indagatori del Vescovo. Don Paolo finisce con l’emigrare in America, per sottrarsi a quello stillicidio della sua coscienza, a New York, dove insegna. Tre sacerdoti che celebravano l’Ave Maria, pur se dotati di spregiudicata laicità; l’autore ne spiega dettagliatamente la vicenda e la disinvoltura.

Don Giovanni il pretore, è la vicenda del pretore e del mugnaio, dell’avvocato che nella foga dell’arringa gli volge le spalle. La storia del mugnaio che bastona l’asino e che rimproverato, risponde che non lo sapeva, scusandosi. Curiosa la vicenda di don Antonio Tamburrino il “vagliese”, per la vacca che soccombe malgrado l’intervento del veterinario don Mauro, destinatario di con______ e di maldicenze da parte del “vagliese” per la perdita dell’animale. Non manca però che quando il veterinario si ammala, la moglie chiede soccorso al medico don Antonio Tamburrino, il quale per esprimere la sua diagnosi chiede ossessivamente a don Mauro come si sentisse, e che cosa gli facesse male … al che don Mauro: “perché tante domande? Perché la tua vacca quando l’ho visitata ha parlato dicendo cosa si sentiva?”

Il 25 luglio 1943. La caduta del Duce e il carabiniere. Dopo le dimissioni del podestà Vincenzo Cavallo, la farmacia di Canio Salbitani, noto ambiente della fronda antifascista (socialista) diventa il posto di ritrovo per tutti coloro che in preda al nuovo evento si davano un contegno diverso dal passato, esprimendo la solidarietà al farmacista e a spacciare una loro improvvisa avversione al regime decaduto. Tripudio di gioia collettiva per l’armistizio dell’8 settembre, ma i tedeschi sono ancora presenti e il 9 settembre accade l’episodio del carabiniere che tenta di difendere il maresciallo malmenato dal soldato tedesco. Sabatella Donato muore con un colpo di pistola.

Il Governatore, come accade sovente, in tempi di eventi politici e militari che si sovrappongono, c’è l’episodio del Governatore, un confinato inglese che nel periodo del regime aveva vissuto sotto sorveglianza, ma con l’avvento dei canadesi si accredita presso il comando alleato grazie alle sue credenziali di confinato e malgrado la noncuranza dello stesso comando, si dà arie e compiti da un uomo di potere.

Virgiu Rosè, partiti il reparto militare canadese, si arroga l’autoinvestitura a “governatore” del paese a requisire i locali del Circolo per farne il suo ufficio di amministratore municipale. Dal suo “quartier generale” il circolo requisito, partono ordinanze di requisizione e discriminanti decisioni, unilaterali, che provocano alla fine paure, risentimenti e rabbia nella popolazione. Dopo un periodo di 8 giorni, gli ufficiali alleati, incaricati di mettere ordine nelle amministrazioni comunali, lo esentano da ogni incombenza. Il governatore per un pelo non finisce linciato.

La medaglia d’oro di Donato Sanità conferitagli il 28 giugno del 1945 per gli atti di eroismo compiuti nel periodo della guerra contro i tedeschi. Un alone di leggenda lo raffigurava come uomo di potere, incarnava concretamente il sacrificio di una intera generazione di giovani “sulla quale – scrive Mattia – si tentava di edificare un complesso di valori morali e civili – artificiosamente – dopo la disfatta”. Accolto come si accolgono i taumaturghi, tutti i bisognosi lo circondavano e lo assillavano di richieste. Era per tutti don Donato. Per il 7 e l’8 aprile del 1946 Donato Sanità si candida con la lista “reduci e combattenti” vicina ai social-comunisti, contro i dc Fernando Mattia, Paolo Madeo, Vincenzo Cavallo, Rocco D’Auria e Michele Lioi, e i liberali (nittiani) di Mimì Tamburrino, Michele Franco ed altri. Ma don Donato si rivela una attrazione, i suoi comizi sono affollatissimi, perfino a Potenza, in piazza Matteotti, dove egli diventa mallevadore del suo barbiere candidato al comune del capoluogo. La piazza trabocca di gente, accorsa ad ascoltare Sanità, le sue frasi: “e quinci e quannu per l’ardore dei Savoia zompavo le sopale”. Il suo ruolo di sindaco, come lascia intendere Pinuccio Mattia, fu tutto un programma, l’episodio più sconcertante è quello che il Consiglio avrebbe deciso per rifare il Corso o consolidare la Barracani, onde eliminare una condizione di pericolo per i cittadini a causa dell’impetuoso afflusso di acqua durante i temporali. Una marea di gente assiste ai lavori del Consiglio, di là parte il boato di approvazione, per la Barracani, proprio quando, una frase salomonica avverte: “vogliamo fare il Corso per la passeggiata delle “sciammeriche”?

La oratoria e le bretelle dell’avv. Michele Franco, bretelle che prestava a tutti i politici con i quali veniva in contatto, da Mussolini che chiamava col nome proprio Benito, a Filippo Turati. Bella la scenetta quando all’albergo “Lombardo” di Potenza, con un appassionato discorso, presente G. Saragat, strappò applausi e lacrime, rivolgendosi alla gigantografia di Turati: “Filippo, Filippo, ti ricordi quando ti affidai le mie bretelle per reggerti i pantaloni che ti cadevano? Don Mimì Tamburrino esponeNte principale dei socialcomunisti, fu sconfitto.

Il raffronto tra il Circolo e lo chalet, una atmosfera “crepuscolare” prende il lettore al cospetto di quel rifugio gozzaniano. Una sorta di languore traspare dalle righe del paragrafo sul tramonto dello chalet, un saluto riverente ad un luogo (o posto) che aveva ospitato le “magnifiche Agapi” degli amici fino agli anni ’80. Accorati ricordi che suonano come un addio strozzato al passato, alla giovinezza agli amici più cari frequentatori assidui di quel tripudio di scherzi all’aperto, con il sole grazie all’esorcista delle nubi, il rag. Gigino De Angelis.

Che cos’è una farmacia? Una struttura che dai Borboni passa ai Liberali. La farmacia di don Luigi Cavallo, dove i figli di quelli che hanno partecipato all’Unità d’Italia, si danno convegno per un rigurgito romantico e di memorie dettagliate del Risorgimento, con don Diodato 93enne, don Giuseppe Mattia 1° sindaco, il nipote, una storia alla “Gattopardo”, un flash di storia meridionale da cui si evince come anche a Tolve vi siano state trame gattopardesche. Questo l’odore che si sprigiona dai cassetti e dagli stigliati mogano e in noce mansiona, di una antica farmacia, gli odori di cloroformio, di piante officinali, di essenze di valeriana, camomille … ma vi è un profumo di Risorgimento, di mazzinismo, di Carboneria, di maroncellismo, di Italia unita, l’avventurismo garibaldino, odore di cavalli, di scorrerie, di Sanfedismo e di card. Ruffo.

Don Giuseppe Mattia, notabile per fama ne era stato il protagonista, fino al 1878 quando vi morì, insomma, vicende degne della migliore film commission.

Si racconta di come le famiglie che con i Borboni avevano vissuto bene, passano sul corso dei vincitori.

Don Giuseppe Mattia, il nipote e Carluccio Altomonte sono i protagonisti del viaggio fatto per l’incontro con i liberali pugliesi, materani e con i massoni a cementare un patto di unione.

Da alcune note traspare chiaro il quadro di un paese, Tolve, non misero, contadino sì, ma non sotto sotto proletario, bensì abitato da famiglia abbiente e perbene. Località leggendarie che fanno invidia ai materani, a Rocco Papaleo con il suo “Coast to Coast”: una topografia della fiaba 800 fatta di Barracani, Costa degli Zingari, con la statua lignea di san Rocco.

I Vignoli della Cupa dove precipitarono in queste i violini e danzano le ombre degli orchestrali, il ponte “vecchio”, o “Ponte del Diavolo”, e il “Fosso Rummolo” dell’avv. Michele Franco.

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Sull' Autore

LUCIO TUFANO: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE “Per il centenario di Potenza capoluogo (1806-2006)” – Edizioni Spartaco 2008. S. Maria C. V. (Ce). Lucio Tufano, “Dal regale teatro di campagna”. Edit. Baratto Libri. Roma 1987. Lucio Tufano, “Le dissolute ragnatele del sapore”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “Carnevale, Carnevalone e Carnevalicchio”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “I segnalatori. I poteri della paura”. AA. VV., Calice Editore; “La forza della tradizione”, art. da “La Nuova Basilicata” del 27.5.199; “A spasso per il tempo”, art. da “La Nuova Basilicata” del 29.5.1999; “Speciale sfilata dei Turchi (a cura di), art. da “Città domani” del 27.5.1990; “Potenza come un bazar” art. da “La Nuova Basilicata” del 26.5.2000; “Ai turchi serve marketing” art. da “La Nuova Basilicata” del 1.6.2000; “Gli spots ricchi e quelli poveri della civiltà artigiana”, art. da “Controsenso” del 10 giugno 2008; “I brevettari”, art. da Il Quotidiano di Basilicata; “Sarachedda e l’epopea degli stracci”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20.2.1996; “La ribalta dei vicoli e dei sottani”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Lucio Tufano, "Il Kanapone" – Calice editore, Rionero in Vulture. Lucio Tufano "Lo Sconfittoriale" – Calice editore, Rionero in Vulture.

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