1.La lingua di Grottole
Grottole, in dialetto Iëròttëlë [jəˈrɔt:ələ], è un comune della collina materana di circa 2000 abitanti. Se si alza lo sguardo dalla strada statale Basentana, il paese è ben riconoscibile grazie ai resti della chiesa dedicata ai santi Luca e Giuliano, rimasta incompiuta e perciò meglio nota come chiesa Diruta.
Il toponimo Grottole deriva dal latino Cryptulae che a sua volta proviene dal greco Cryptaliai e significa “raggruppamento di grotte”. In effetti, il territorio di Grottole era disseminato da “grotticelle”, piccoli locali che oggi sono ancora visibili alle pendici del paese e che erano adoperate perlopiù dagli artigiani locali per lavorare l’argilla.
Il grottolese presenta un sistema vocalico tonico di tipo romanzo occidentale:
Ī: i [i]
filë [ˈfilə] ‘filo’;
cinghë [ˈtʃiŋgə] ‘cinque’.
Ĭ/Ē > è [ɛ]
sèrë [ˈsɛrë] ‘sera’;
stèddë [ˈstɛd:ə] ‘stella’;
nèvë [ˈnɛvə] ‘neve’;
lènguë [ˈlɛŋgwə] ‘lingua’.
Ĕ > é [e]
pétë [ˈpetə] ‘piede’;
déndë [ˈdendə] ‘dente’.
ĀĂ: a [a]
manë [ˈmanə] ‘mano’;
vrazzë [ˈvrat:sə] ‘braccio’.
Ŏ: ó[o]
córë [ˈkorə] ‘cuore’;
nóttë [ˈnot:ə] ‘notte’.
Ō/Ŭ> ò [ɔ]
fròndë [ˈfrɔndə] ‘fronte’;
nëpòtə [nəˈpɔtə] ‘nipote’;
vòcchë [ˈvɔk:ə] ‘bocca’;
nòcë [ˈnɔtʃə] ‘noce’.
Ū: u [u]
iunë [ˈjunə] ‘uno’;
ggiugnë [ˈd:ʒuɲ:ə] ‘giugno’.
Per il consonantismo possiamo ricordare tra le altre l’evoluzione di (-)G + A, O, U- latina in (-)i– (-)[j]-, come possiamo vedere dagli esempi seguenti:
iammë [ˈjam:ə] ‘gamba’;
iattë [ˈjat:ə] ‘gatta’;
iuvëtë [ˈjuvətə] ‘gomito’;
aiustë [aˈjustə] ‘agosto’.
Si potrà osservare, inoltre, che i [j]viene anche utilizzato come suono di appoggio dinanzi a parola che inizia per vocale (la gran parte dei dialetti meridionali, infatti, non tollera parole inizianti per vocale). Vediamo qualche esempio:
iunë [ˈjunə] ‘uno’;
ióšë [ˈjoʃə] ‘oggi’.
Il dialetto di Grottole presenta, infine, una caratteristica molto interessante nell’ambito della morfologia nominale: la conservazione del suffisso -ORA del latino. Questo suffisso deriva dalla ri-segmentazione di alcuni sostantivi di genere neutro (il genere che in latino comprendeva nomi indicanti oggetti inanimati, materie e concetti astratti) che avevano la radice terminante in -OR, come TEMPUS, TEMPOR-IS; col tempo parole del genere sono state reinterpretate, nelle forme del plurale, come TEMP-ORA e nel passaggio dal latino alle lingue romanze questo suffisso è stato reinterpretato come suffisso di plurale. Vediamo alcuni esempi tratti dal nostro dialetto:
uóssë [ˈwos:ə] ‘osso’ ~ óssërë [ˈos:ərə] ‘ossa’;
ògnə [ˈɔɲ:ə] ‘unghia’ ~ ògnërë [ˈɔɲ:ərə] ‘unghie’;
uócchië [ˈwok:jə] ‘occhio’ ~ ócchiërë [ˈok:jərə] ‘occhi’.
Nel prossimo paragrafo analizzeremo una particolarità sintattica del dialetto di Grottole, utilizzando le carte dell’Atlante Linguistico della Basilicata.
Teresa Carbutti
2. Uno sguardo all’A.L.Ba.
Nel dialetto di Grottole, come nella maggior parte dei dialetti meridionali, i possessivi hanno un comportamento particolare se si riferiscono a nomi che indicano parentela (fratello, sorella, mamma, padre, etc.): essi, in questo caso, vengono posposti, come possiamo vedere dalle carte che seguono.
Carta 16, sez. I, vol. 1, “mio cugino”
Carta 5, sez. I, vol. 1, ‘mia sorella’
Così accade per tutti i nomi di parentela, quindi avremo maritëmë [maˈritəmə] ‘mio marito’, canatëmë [kaˈnatəmə] ‘mia cognata/mio cognato’ frattë [ˈfrat:ə] ‘tuo fratello’, e via dicendo. Possiamo osservare che nel caso del nostro dialetto si registrano delle differenze per i possessivi delle prime tre persone. Per capire in che misura, osserviamo le carte A.L.Ba. che si riferiscono al nome “padre”.
Carta 1, sez. I, vol. 1, “mio padre” Carta 36, sez. IV, vol. 4, “tuo padre”
Carta 37, sez. IV, vol. 4, “suo padre”
Come si può vedere, per la prima e la seconda persona si registra posposizione del possessivo, attanëmë [aˈt:anəmə] ‘mio padre’ e attandë [aˈt:andə] ‘tuo padre’, ma alla terza persona non si registra la posposizione del possessivo, bensì la semplice forma preceduta dall’articolo, l’attanë [l_aˈt:anə] ‘suo padre’ (o attanë [aˈt:anə], con concrezione dell’articolo). Questa situazione è comune a diversi dialetti della Basilicata e in alcuni casi si registra per la terza persona anche la variazione del lessema che designa il padre, come accade a Sant’Angelo Le Fratte dove si registra attanëma [aˈt:anəmə] ‘mio padre’ e attanëta [aˈt:andə] ‘tuo padre’, ma lu/u patrë [lu/u ˈpatrə] ‘suo padre’ (le forme patrëma [ˈpatrəma] ‘mio padre’ e patrëta [ˈpatrəta] ‘tuo padre’ sono esistite, ma ormai in disuso).
Teresa Carbutti
3.La festa di Sant’Antonio Abate
Particolarmente sentita dagli abitanti di Grottole è la festa di Sant’Antonio Abate, tanto che a Sand’Anduónë [sand_anˈdwonə] ‘Sant’Antonio’, la cui ricorrenza è notoriamente il 17 gennaio, è riservata una più ampia celebrazione che si è soliti posticipare ai due giorni successivi alla domenica di Pentecoste, probabilmente per il più favorevole clima primaverile che consente la partecipazione degli iërëttëlisë [jərət:əˈlisə] ‘grottolesi’ di ogni età a ciascuno dei riti religiosi e civili tradizionalmente osservati.
Non manca, naturalmente, la celebrazione della santa messa presso l’omonimo santuario, uno dei più antichi edifici religiosi di Grottole, risalente alla seconda metà del XIV secolo e ubicato nella parte più alta del bosco di Fosso Magno.
I fedeli sono ben consapevoli che, prima di šì a Ssand’Anduónë [ʃi a s:and_anˈdwonə] ‘andare a Sant’Antonio’, è necessario compiere tre giri a piedi intorno alla chiesa, per rendersi degni di accedervi e di unirsi, al termine della messa, alla lunga processione.
A metà tra il rito religioso e quello pagano si situa, inoltre, una delle tradizioni più radicate sul territorio lucano e certamente comuni alla gran parte del Meridione: quella dell’uccisione del maiale.
Anche a Grottole, dunque, e proprio in questa occasione, vi era l’usanza di offrire a Sant’Antonio un porcellino, u puórchë dë Sand’Anduónë [u ˈpworkə də sand_anˈdwonə]‘il maiale di Sant’Antonio’, allevato dalla comunità.
Al porcellino, benedetto dal sacerdote del paese con il nome di Andëninë [andəˈninə] ‘Antonino’, venivano mozzate le orecchie e la coda; lasciato, poi, libero di girare per il paese durante la giornata, questo otteneva sempre qualcosa da chiunque lo incontrasse, perché al momento del sacrificio risultasse ben nutrito e pronto a essere offerto in onore del santo.
Poteva capitare, però, che qualcuno, incontrandolo per strada, non avesse con sé nulla da potergli dare e si trovasse costretto a mandarlo via a bocca asciutta, invitandolo a ritentare presso qualcun altro e dicendogli, in segno di scuse: Andënì, chë ióšë aggë pašë, va’ nnandë [andəˈni kə ˈjoʃə ˈad:ʒə ˈpaʃə va ˈn:andə] ‘Antonino, per oggi abbi pace, vai avanti’.
Affinché tutti potessero beneficiare delle carni benedette del maialino, queste erano vendute, dopo il sacrificio, a un prezzo inferiore, accessibile anche alle famiglie meno abbienti.
È probabile che a questa stessa usanza sia da ricondurre il nome di un piatto tipico del periodo di Carnevale, che ha inizio proprio il 17 gennaio: a Grottole è infatti tradizione preparare lë përcëdduzzë [lə pərʧəˈd:ut:sə] ‘i porcellini’, tocchetti di pasta dalla forma tondeggiante, fritti e sovente aromatizzati ai semi di finocchio. Nella tradizione grottolese, l’impasto è generalmente salato, ma il condimento può variare in base ai gusti e alla fantasia, dal vincotto al miele.
Un ringraziamento è doveroso nei confronti di quanti, con il consueto entusiasmo, offrono a noi ricercatori i loro preziosi ricordi, conoscenze e testimonianze, affinché la ricchezza linguistica e culturale del territorio sia custodita attraverso la condivisione, come merita la storia di ogni singola comunità.
Giusi Cratere
Un’immagine del santuario di Sant’Antonio Abate
4. ADL GROTTOLE
Potito Paccione