IOLANDA CARELLA E SALVATORE SEBASTE
CALCIANO
Calciano deriva da Calpianum e Calpius delle Iscrizioni o da Caucigianum (in riferimento al gentilizio Calcidius), secondo il Flechia. Per Giacomo Racioppi il toponimo potrebbe derivare da Cacium, che nel Medioevo significò luogo basso e paludoso, per altri da Calcianum.
Il paese fu abitato in epoca preistorica. Vasi del IV secolo a.C., anfore figurali, armi bronzee, corazze ed elmi di tipo lucano rinvenuti nei vecchi sepolcreti possono essere ammirati nel Museo archeologico di Potenza.
Al lato est del paese esiste il profondo burrone, detto Vallone Sant’Angelo e Fosso di Pede, che si formò in seguito ad una frana che distrusse l’antica Calcianum, ad un centinaio di metri più in basso del paese nuovo. Citato nel secolo XI, appartenne al principe di Bisignano che nel 1479 lottò contro il suo feudatario Revertera, duca della Salandra, per rivendicare il libero possesso della sua terra. Fu poi feudo di Attendolo Sforza di Cotignola e delle famiglie Sanseverino e Pignatelli. Dell’antichissimo castello feudale restano pochi ruderi, rimasti a picco, quasi aggrappati al rigido pendio del burrone.
Nel 1806 Calciano e Garaguso facevano parte del Comune di Oliveto, dal quale poi si distaccarono nel 1878; ma divenne Comune Autonomo solo nel 1913, con legge 11 giugno, n.699.
Nel 1866 il capitano Blancuzzi da Calciano, della Guardia Nazionale, combatté nei boschi di questo territorio contro il brigantaggio e fece prigioniero il famoso brigante Francolino. Apparteneva alla banda del brigantaggio anche il celebre brigante calcianese Percoco, il quale fu ucciso nell’agro di Stigliano.
In Piazza Umberto I, è ubicata (fig. 1) la Chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista. Fu edificata nel XVI secolo, quando la popolazione fu costretta ad abbandonare l’antica Calciano e, quindi la vecchia chiesa, in seguito a scosse telluriche, che procurarono avvallamenti di terreno e crollo di case.
A destra dell’ingresso si nota (fig. 2) un grande pannello in terracotta, realizzato nel 1980 da Orazio del Monaco di Grottaglie e (fig. 3) un’acquasantiera adibita a fonte battesimale in pietra grigia con vasca a grandi scanalature, attribuita ad un lapicida meridionale del XVIII secolo.
Nell’abside, a destra e a sinistra dell’altare e nella terza cappella a destra, ci sono gli affreschi del sec. XVI, provenienti dalla Chiesa della Rocca e restaurati dalla Sovrintendenza di Basilicata, che raffigurano (fig. 4) la Vergine, alcuni Santi, una Madonna col Bambino, l’Eterno Padre.
A destra dell’altare c’è (fig. 5) un Crocifisso in rame sbalzato, di stile bizantino del Trecento. Particolarmente bella è la croce greca, concepita con straordinario senso plastico e decorativo. Le figure agili e nervose, sono caratterizzate da un singolare gusto per la stilizzazione intesa in funzione dinamica. Dietro l’altare, al centro, si nota la Sedia Presidenziale del Settecento, opera di notevole fattura, d’artigianato napoletano.
A destra dell’altare, è custodita gelosamente in una grande teca un gioiello d’arte: (fig. 6) l’Annunciata, scultura lignea, dipinta e dorata, di delicati ritmi gotico-senesi, ascrivibile al XIV secolo all’ambito napoletano di Andrea da Firenze, proveniente dalla chiesetta della Rocca. La Vergine è seduta sopra uno scanno con le mani giunte e gli occhi bassi. Indossa una veste ricoperta da un manto dorato che dal capo, cinto da una corona, scende fino ai piedi, ricoprendoli interamente, lasciando scoperto solamente il volto e le mani in preghiera. Il panneggio si snoda delicatamente dalle gambe fin giù, fino a ricoprire completamente anche lo scanno.
In alto, nell’abside, spicca in una cornice di legno intagliato (fig. 7) il prezioso trittico, proveniente dalla vecchia chiesa madre. Il dipinto è olio su tavola del 1503, firmato da Bartolomeo da Pistoia, artista attivo nella prima metà del Cinquecento. L’opera raffigura, sullo sfondo di un paesaggio, la Madonna in trono che indossa una veste rossa orlata di nero e un manto verde cupo. Il Bambino è tra le braccia della Madonna, seduto su un cuscino. Sulle tavole laterali sono dipinti: a sinistra, S. Giovanni Battista con un manto rosso cupo sopra una tonaca verde e, a destra, S. Nicola da Bari. Il vescovo poggia leggermente la mano sinistra sulla spalla di Niccolò Berardino di Bisignano e lo presenta alla Vergine, alla quale il giovane principe, che indossa calzamaglia rossa e corpetto nero, offre uno scrigno. Nel timpano è rappresentato l’Eterno Padre che tiene nella mano sinistra il globo ed indossa un manto rosso su una tunica verde. Sulla predella, su fondo scuro punteggiato di fiori e stelle d’oro, sono disposte simmetricamente le mezze figure del Cristo e degli Apostoli nell’ultima cena. Il trittico esplicita una tensione venata d’umori ferraresi su un sottofondo di cultura umbro-toscana, da Domenico del Ghirlandaio al Perugino.
Nella prima cappella a sinistra si trova (fig. 8) la statua in legno policromo (sec. XVIII) della Madonna della Serra col Bambino, che stringe nella mano sinistra una palla. Le immagini della Madonna e del Bambino si librano nello spazio in modo dinamico, in un gioco di colori, dai toni piuttosto chiari e luminosi, sempre pervasi da un’intima vibrazione. Nella stessa cappella vi sono gli affreschi di san Biagio e di un santo monaco.
Nella terza cappella altri affreschi raffigurano un Cristo Crocifisso e un Santo (forse S. Giovanni) con un flusso di sangue. Anche questi affreschi provengono dalla chiesa della Rocca e sono attribuiti ad ignoto pittore locale, attivo intorno al 1450.
Nella quarta cappella c’è (fig. 9) un Cristo Crocifisso di legno policromo e cartapesta, d’ignoto artigiano meridionale.
Nella sacrestia è gelosamente conservato un Crocifisso di legno intagliato policromo, realizzato da ignoto artigiano meridionale. L’opera è molto interessante e si collega all’attività scultorea dei francescani che operarono nell’Italia meridionale tra il Cinquecento e il Seicento. Da notare l’anatomia scarna e precisa, esente da ogni compiacimento patetico.
Della Chiesa della Rocca (fig. 10), risalente al XIII-XIV secolo, è rimasto solo qualche bel rudere.
Interessante è il Monumento ai caduti, costituito dal bassorilievo bronzeo di Pietro Benevento di Grassano, realizzato nel 1987 e dall’aquila, recuperata dal vecchio monumento, che sovrasta la bella struttura.
Ammirevole bellezza artistica naturale è la Foresta demaniale di Gallipoli Cognato, la più grande della Basilicata.
Bibliografia
Manoscritto trascritto da don Giovanni Troilo, parroco di Calciano, contenente una relazione storica di Calciano e trovato nel 1995 nell’archivio della Parrocchia di San Giovanni Battista.
Lorenzo Predone, La Basilicata, Bari, Dedalo Litostampa,1964.
Giacomo Racioppi, Storia della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher & C., 1889. Ristampa anastatica, Matera, Grafica BMG.
Anna Grelle Iusco, Arte in Basilicata, Roma, De Luca Editore, 1981.
Soprintendenza B.A.S. della Basilicata – Matera, Le Madonne lucane, Altamura, grafica & Stampa, 1998.
Alunni Scuole Elementari, Garaguso e Calciano, Matera, Liantonio, 1967.