by Leonardo Pisani
Gli eroi son tutti giovani e belli. Questa strofa della Locomotiva del poeta cantautore Francesco Guccini pare il piccolo ed agevole volume di Gianmarco Blasi “Il Biondo. Un pugno alla Guerra, L’altro per ricominciare”. Una frase scelta e non a caso per ricordare la storia del nonno; eroe dell’infanzia del giovanissimo Blasi; e le sue radici come il titolo dell’album di Guccini. Un binomio saldo nel leggere un volume dalla difficile classificazione; già dal titolo si comprende che parla di pugilato: infatti il protagonista Franco Blasi è stato tra i pionieri della noble art Potenza; primo pugile a salire sul ring nel teatro Stabile del capoluogo lucano e primo pugile professionista cresciuto sportivamente in Lucania. Ma non è un libro sulla boxe, va oltre perché è un racconto. Una narrazione che parte dal pugilato per tracciare anche pagine di storia di una Potenza devastata dai bombardamenti degli alleati ad armistizio siglato quel 8 settembre 1943; facendo rivivere attraverso i ricordi del piccolo Blasi dall’arrivo degli americani e la conseguente scoperta di quello strano sport praticato con i guantoni, del periodo post bellico con una Potenza che cercava di dimenticare quella ferita piovuta dal cielo ed i suoi morti.
Il Biondo diventa così un libro sulla boxe che ripercorre il miracolo di Silvio Nocera; un leccese arrivato in Lucania per lavoro che si inventa una palestra dal nulla. Senza attrezzi; senza sede fissa – si va da un salone di un hotel ad una stanza di partito- prende ragazzi dalla strada e fonda la boxe Potenza. Fin qui nulla di straordinario; ma il prodigio sta in altro; da quelle stanze umide crea una schiera di giovani pugili destinati a far diventare Potenza da luogo senza pugilato ad una delle società più prestigiose d’Italia. I veri Blasi; Bonito; Armento, Mazzola combatterono alla pari con atleti di palestre prestigiose coma la Colombo Boxe di Roma, affrontarono con enormi difficoltà logistiche trasferte per i tornei nazionali. Al’epoca non esisteva l’autostrada Basentana; da Potenza a Melfi; scarsi 40 km ci si impiegava anche due ore; oggi 20 minuti bastano… Gli eroi son tutti giovani e belli; quei boxer divennero il fiore all’occhiello della Basilicata; uno divenne anche famoso. Rocchino; quel Mazzola che detenne il titolo italiano dei mediomassimi e dei massimi; immortalato nel capolavoro di Luchino Visconti “Rocco ed i suoi Fratelli”. Blasi ha il merito di tracciare con delicatezza la breve ma intensa carriera del nonno Franco; pugile di talento; gran dilettante da essere chiamato da Klaus nella nazionale militare ma anche la storia dell’uomo e delle sue passioni.
Qui diventa anche un romanzo nel quale fa parlare in prima persona il nonno; dall’adolescenza senza padre ai amici della boxe, ai suoi combattimenti ed infine all’emigrazione. E qui la realtà supera la fantasia; Blasi boxò anche in Francia dove faceva il carpentiere; ma sono fatto nome e nona aggiungo altro perché invito a leggere quelle pagine. Si potrebbe trarre anche la sceneggiatura di un film. Certo Blasi non ha combattuto al Madison di New York e neanche per un titolo italiano professionistico; non è il boxer che ha una carriera che è rimasta nella storia pugilistica; ma rappresenta quella storia minore che va ricordata. Quella umana anche; personaggio poliedrico che fa scelte difficili; lascia la boxe combattuta e si dedica ai giovani diventando anche allenatore di basket oltre che di pugilato. Sempre combattivo anche fuori dal ring; controcorrente da arrabbiarsi con Mazzola perché era diventato troppo “ delicato” da professionista e non combattivo come quando avevano fame; super tifoso di Sandro Mazzinghi sia perché gli piaceva la sua grinta ma anche perchè si irritava che tutti parlassero sempre di Benvenuti. Leggere “Il Biondo” di Gianmarco Blasi; edito da Sud’Altro Editore e con una pregevole copertina artistica di Donatello Verrastro significa immergersi in una storia dove ai guantoni ed ai ricordi di avversari come Scarponi, Celli; Pappalardo si intreccia l’amicizia, e sul ring salgono i sentimenti, la speranza, la storia di un vero uomo.
Questa la mia postfazione.
Entrai in una palestra di boxe perché era l’unico luogo per fare una doccia calda”. Forse non fu la sola motivazione del piccolo profugo istriano Giovanni, ma negli anni del dopo guerra la vita non era facile per nessuno. La boxe o meglio il pugilato – usiamo un termine italiano- poteva essere una alternativa alla miseria e un’opportunità alla scalata sociale. Eppure, negli anni del ventennio e durante la guerra il pugilato era uno sport seguitissimo al pari del calcio e del ciclismo. Essere campioni delle quattro corde significava anche essere un personaggio non solo sportivo ma un simbolo nella società come lo furono Carnera ,gli assi Locatelli, Spoldi Venturi o Erminio Spalla che debuttò nel cinematografo seguito da Enzo Fiermonte e tanti altri. La lista è lunghissima.
Sport duro la boxe. Ma per chi aveva vissuto i bombardamenti come “il Biondo”, per chi aveva poco da mangiare,per chi proveniva dalle sofferenze della guerra e del dopo guerra era più facile affrontare il quadrato. Regole, disciplina, duro esercizio fisico ma anche arte; ebbene sì la Noble Art. Il piccolo profugo istriano Giovanni affrontò la dura strada di questo sport epico; passò alla storia come Nino, il campione olimpionico di Roma 1960 e del mondo. Un alfiere dello sport italiano mai dimenticato. Benvenuti il campione dei medi Junior e due volte mondiale dei Medi. Ma anche lui proprio come il protagonista di questa storia ben raccontata da Gianmarco Blasi (romanzo, perché no?) , veniva dal nulla degli anni precedenti. Il ring può essere spietato e come nella vita spesso ci vuole anche fortuna. Il pugile non è solo il campione mondiale o l’idolo delle folle. Il pugilato è soprattutto passione, sudore e coraggio. Quel coraggio che deve meritare il nostro rispetto. Il rispetto che, come mi insegnò il mio maestro Licinio Sconfietti, si deve anche all’umile novizio che sale per la prima volta sul ring e perde.
Per questo il pugilato è anche storie di meno noti, di campioni e di sconosciuti. Storie di vita, di colore, di umanità come quella che Blasi junior racconta. “Il Biondo” fa parte del romanzo popolare e va, naturalmente, oltre la pratica sportiva. Si interseca con la guerra,con il tragico bombardamento di Potenza, con l’amicizia e l’emigrazione e con quello strano mondo che è il pugilato. Visto da taluni come uno sport violento ma, lo so nell’intimo, non lo è. Duro, il pugilato, sì ma leale. Capace di saldare amicizie lunghe una vita e far sgorgare i ricordi anche dopo anni.
“La boxe è un po’ come il jazz. Meglio che sia come questa musica dell’anima, alla fine l’apprezza chi la sa capire .” Così disse Big George Foreman un po’ sarcastico e amareggiato. Ma di una cosa sono sicuro, è per i palati fini. Quando la boxe è spumeggiante affascina. Spumeggiante e sincopata tale era l’arte insegnata da Silvio Nocera della quale Franco Blasi fu artista del ring, nella sua pur relativamente breve e pur intensa carriera. Intensa e unica. In quel miracolo che fu la Boxe Potenza di Blasi, Bonito Mazzola e tanti altri. Un miracolo come l’ho sempre definito e raccontato soprattutto fuori della Basilicata ad altri esperti ed appassionati di pugilato. Ho appreso i primi rudimenti proprio nella palestra potentina del compianto Brucoli. Poi l’ho affinata a Pavia dagli Sconfietti. Quella scuola aveva le foto dei anti titolati usciti dalla boxe Pavia: Campari, Omodei, Biancardi, Quintano, Belcastro. Una sera entrando nell’ufficio del maestro Licinio osservai le foto dei pugili di quella storica palestra. Decine di professionisti di ottimo livello. Ne vidi una che mi colpì. Chiesi : “ma che ci fa Tiberio Mitri tra i boxer pavesi? “. “Venne ad allenarsi da noi – mi rispose il “Cigno” – il suo nomignolo in pavese. L’Italia pugilistica aveva piazze importanti e palestre storiche; anche Pavia lo era. Un aspirante pugile si allenava con professionisti; con campioni come Campari o Belcastro. Immaginate un emergente dilettante che può fare i guanti con Everaldo Costa Azevedo; ottimo livello internazionale due mondiali alle spalle. Lo sport è anche memoria storica. Gianmarco Blasi ha il merito di recuperarla. Nella sua essenzialità l’autore de “Il biondo” permette al racconto di germogliare al meglio. Nocera fece un miracolo. Dal nulla formò dei campioni come era per primo Blasi. Dal nulla con scarse attrezzature ed in un locali improbabili : la stanza di un partito, per alcuni mesi addirittura la sala di ristorante. Vennero fuori pugili che hanno battuto gli avversari di palestre storiche. Chi viveva a Roma poteva avere in palestra un Proietti campione europeo. A Milano un Loi; a Potenza nessuno. Lo sparring si svolgeva tra quei ragazzi alle prime armi. La boxe Potenza fece l’impossibile. Basti pensare solo alla sfida con la Colombo Boxe nata nel 1906. In quel frangente i ragazzi di Nocera si batterono alla pari. Di quella scuola era Musina, di lì passarono Cerdan; Locatelli e una lista infinita di futuri campioni . Il “biondo” si batteva alla pari, perché era un talento vero. Per averne l’ulteriore conferma bisogna sottolineare e sapere che fu chiamato da Steve Klaus in nazionale militare. L’ungherese di America cresciuto nella palestre dove si erano formati un Graziano o un La Motta. Klaus si sapeva vendere bene e sapeva che la sua fama doveva essere surrogata anche dai risultati. Chi veniva selezionato da lui, come Blasi, riceveva una “laurea in Pugilato”. Anche per queste ragioni l’attuale maestro della “boxe Colombo” Luciano Grillone ha un collegamento diretto con Blasi e la storia raccontata da Gianmarco. Il maestro di Grillone, De Santis era all’angolo nelle sfide Colombo Boxe – Monticchio- Potenza Boxe ed è stato, come Blasi, allievo in nazionale di Klaus.
Diamo la parola a Grillone: “Klaus era un personaggio molto carismatico, esperto e conoscitore della boxe internazionale. Un grande uomo d’angolo che infondeva sicurezza e sapeva leggere il match. Cosa rara nei maestri, bravi magari a costruire un ragazzo pugilisticamente, ma meno di interpretare all’angolo un confronto. Selettivo nelle scelte e anche temuto dai vertici della Federazione. Aveva carta bianca e prendeva solo i pugili che reputava degni della sua squadra. Simpatico anche nel suo modo burbero di insegnare il pugilato metodico e attento e innovatore per i suoi tempi con il suo modo di far fare le figure unico. Capace di far portare i ganci con l’avambraccio e con il gomito verso il basso. Portando su la spalla con la spinta del deltoide, così da realizzare due variazioni in diagonale con le gambe in uscita dall’asse di combattimento… E poi il “cavallo di battaglia” : la ginnastica dei colpi portati e ripetuti in una sorta di catena cinetica. Solo chi aveva classe era chiamato alla corte di Klaus”. Blasi quel pugilato lo aveva imparato da Nocera, perfezionato con Klaus. Per questo chi lo ha visto combattere sosteneva che sul ring danzava. Forse anche Franco Blasi, soprannominato “il biondo” amava il jazz, i suoi ritmi. Così’ si preparava al colpo finale, quello che più piace agli spettatori: il k.o (Knock- Out).
3 commenti
Il mio amico Franco Blasi è stato anche arbitro di basket e fondatore di una società cestistica che sfornò diversi ottimi giocatori….
Buongiorno
per avere il libro IL BIONDO MODALITA’ grazie
il libro e’ di nove anni fa. adesso è fuori prodizione e le copie sono finite