ANTONIO BELLINO, UN GRANDE SINDACO DEGLI ANNI ’70

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LUCIO TUFANO

“Siamo consapevoli di aver fatto di tutto per interpretare le aspirazioni della popolazione creando, con le opere, le premesse per condizioni di vita più civili ed umane.

Molto in tal senso resta da fare, molto è stato fatto, le opere sin qui realizzate ci danno maggiore spinta e forza morale per poter fare di Potenza una città d’avanguardia, più progredita e più bella.

Una città con dimensioni nuove, al centro degli interessi politici, culturale e sociali ed al servizio della intera regione. Una città che deve farsi carico dei problemi, delle ansie, delle aspettative di tutta la comunità regionale, e che deve crescere e sviluppare con gli altri e non a danno degli altri”.

dal verbale dell’ultima seduta consiliare del 30.4.1975

Antonio Bellino

Sono sempre per la valorizzazione del centro antico, per le politiche sociali e giovanili. Come i cavalieri medievali, a favore dei poveri e dei deboli, per il rilancio dell’economia e per il miglioramento della qualità della vita, per l’evoluzione della campagna, per la riqualificazione dei rioni e delle contrade, per “un ambiente pregnante in senso culturale, economico e sociale”.

Di solito si tratta di uomini di buona volontà. Ma costoro sono solo in grado di essere sindaci? Taumaturghi, miracolisti e prestigiatori della cosa pubblica?

Sono la nostra più grande risorsa. Non peraltro, se non per il loro coraggio!

C’è stato tutto un girone di sindaci in Lucania, da quelli che autorevoli passeggiano lungo le diagonali del paese, a quelli che curiosi o critici si interessano del piano regolatore, delle aree fabbricabili e della antica o nuova toponomastica. Un girone di sindaci, dalle vecchie fotografie ingiallite e con le pose solenni, singole o di gruppo, attaccate alle pareti delle case, tra i ricordi di antiche famiglie contadine, o sulle lapidi cimiteriali. Un popolo di uomini con panciotto e cravatta o di trasandati di tutte le misure, lunghi o grassi, corti o magri, con baffi o barbe, con occhiali o senza. Tutto il nostro sud è stato ed è popolato di sindaci. Così anche per una spontanea e naturale inclinazione da parte della gente a voler individuare, in chi assumesse atteggiamenti di difesa degli interessi dei cittadini, o parlasse dei fatti e dei problemi del paese o di questioni della politica, la figura e il ruolo di sindaco. Il sindaco è ancora oggi un personaggio di spicco, non soltanto come il medico condotto, il farmacista o il parroco, ma come chi è sempre aggiornato sui fatti delle campagne e del paese, le vicende degli uomini, o sapesse svelare, più degli altri, i segreti occulti delle leggi, il vantaggio o il pericolo dei provvedimenti, il mistero dei luoghi, delle cose e degli accadimenti, della nascita e della morte, del futuro e delle maggioranze di governo.

Ora i sindaci tentano di ottenere il consenso di un “pubblico” che non ha classi, si candidano con migliaia di altri candidati e per coinvolgerlo sono costretti a demonizzare tutto ciò che gli altri fanno, o ad esorcizzare quei fenomeni che tutti affermano di saper evocare: le magie della migliore amministrazione, la capacità di “ridare il sorriso ad una città” necropoli, il miracolo di snellire il traffico, la moltiplicazione dei cassonetti, la bitumazione, l’ampliamento della pianta organica per le nuove assunzioni, la rinomina o la scomparsa del city-manager, la revisione del progetto campagne, il ripristino nostalgico di quel ruolo ministeriale storico di una città capoluogo, come Potenza, strettamente collegata alla “Roma dei governi” …

Ora i tempi sono irrimediabilmente mutati. Ora ci vogliono sindaci che non siano solo tribuni, ma che abbiano la possanza e il coraggio degli antichi cavalieri contro la maldicenza ed il disfattismo, il conformismo, il gesuitismo burocrate e servile, il protagonismo piccolo borghese e sottoproletario, le invidie e gelosie da “condominio”, il catto-comunismo popolardemocristiano, la spudorata voglia di esporsi da parte di tutti, poeti, ex contadini ed anonimi, la mobilità “inamovibile” di chi lascia la sinistra per la destra e viceversa, e di chi compila due o tre liste perché il cittadino frastornato vi possa leggere le buone intenzioni.

Ma c’è stato un sindaco agli inizi degli anni ’70, un sindaco di qualità, che ha amministrato una città quando un terzo della sua popolazione viveva ancora nelle campagne. Uniche eccezioni erano le poche zone rurali ove l’insediamento umano era accentrato ed assumeva una certa consistenza. Non era quindi facile operare per la realizzazione di opere destinate ad assicurare agli abitanti di tutte le campagne di Potenza i servizi più indispensabili.

Era il primo sindaco che aveva interrotto la non breve teoria dei sindaci borghesi e notabili. Egli amava la città, si preoccupava di ammantarla di verde, si preoccupò del traffico e dei nuovi rioni; si può dire che adottasse tre direttrici: il contatto permanente con il mondo contadino, una politica capace di risolvere tutti i piccoli problemi, la graduale soluzione dei problemi di fondo.

Antonio Bellino, fu il sindaco delle contrade e del verde urbano, adottò il principio di far piantare un albero per ogni neonato. “L’albero che mi appartiene”. Un sindaco patriota, evocatore di risorse culturali cittadine, un valorizzatore della città e delle sua antiche connotazioni.

In verità Bellino, insegnante e figlio del popolo, che aveva già portato da giovanissimo sulla pelle l’onta del Fascismo, quando fu arrestato e tenuto in carcere per mesi, solo per aver partecipato ad una riunione di giovani vivaci e dissidenti nel 1943, si trovò in quegli anni ad attuare una terapia disperata, quella di dare un volto accettabile ad una città deturpata dalle logiche ciniche della speculazione e della rapina dei suoli, la distruzione di ridenti scarpate collinari che con le acacie fittissime lambivano le grondaie. Occorreva decorare e rinfoltire la brughiera nelle sterili e spoglie campagne appenniniche dell’agro potentino. La cittadinanza apprezzò perfino il rifacimento di alcuni marciapiedi, gli alberi da cui fu trapunto il tessuto della città, la sua permanente mobilitazione.

Forse gli fu infausta la vicenda di essere il sindaco del monocolore, proprio quando si stavano approntando nuovi quadri politici, con i progressisti ed i socialisti.

Doveva essere il sindaco della svolta dal monocolore alla sinistra. Ciò malgrado operò in maniera fattiva e con la dedizione di un potentino che ama la propria città.

Il 14 dicembre del 1967, il Consiglio Comunale del capoluogo, aveva riadottato il Piano Regolatore Generale. Si chiudeva un capitolo tra i più lunghi e contorti della complessa ed intricata vicenda urbana di Potenza.

In una città per nulla favorita nel suo normale sviluppo da alcuna corretta e giusta politica amministrativa, giacché sempre hanno prevalso interessi personali, di gruppi e di famiglie a tutto discapito della sua evoluzione e della sua crescita come capoluogo regionale, egli seppe ben distinguersi come pubblico amministratore.

In mancanza di un qualsiasi concetto ordinatore Enti ed Amministrazioni, Imprese appaltanti ed iniziative abusive si erano lanciate a costruire lungo i fianchi della montagna, in un’espansione che non teneva alcun conto delle difficoltà altimetriche. Il Comune era perciò costretto a rincorrere quel caos edilizio con le strade ed i servizi, tentando di superare le più assurde difficoltà tecniche ed affrontando gravosi oneri che appesantivano il bilancio comunale. Così la città ormai appariva irrimediabilmente deturpata nel suo divenire.

Perciò quel Piano Regolatore rimaneva come uno schema aperto, non aveva la pretesa di irrigidire la realtà futura, né quella di quegli anni.

Doveva perciò subire miglioramenti. Ma per tutto quello che conteneva, dissero allora in Consiglio Comunale, come possibile soluzione dei problemi posti da una città organismo vivente, quel piano avrebbe potuto giovarsi delle esperienze del passato, dei suggerimenti dei tecnici, degli esempi che le città più grandi e più progredite continuamente avrebbero dato, e poteva inserirsi definitivamente come elemento vitale in quell’organismo malato che era la città. Anche per questo quel Piano Regolatore Generale fu ritenuto atto di risanamento.

Bellino si trovò a risolvere tutte le incombenze provenienti dai nuovi fatti normativi, affidando gli incarichi relativi alla redazione di alcuni Piani particolareggiati: quello del centro storico, per il risanamento del vecchio abitato e quelli relativi al primo centro direzionale, alla zona di Francioso destinata ad attività terziaria.

 Interessò un Centro Studi per le attrezzature scolastiche e culturali, si occupò della località Canale per le attività produttive e dell’insediamento di edilizia residenziale privata di Potenza nord.

Allora la città era ancora centro e le piazze erano il riferimento di esso, il solo e vero centro, luogo d’incontro, di interscambio, di comunicazione e relazioni tra i cittadini.

Ora nella città contemporanea il centro sembra non avere più alcuna funzione; è una parte della città non più popolosa come un tempo, anche se consolidata invece dai trascorsi decenni.

Ora si tratta di un’area congestionata, tutt’altro che rappresentiva, priva di quelle caratteristiche che rendevano la città del passato, nel suo insieme, interessante ed emergente, mentre la periferia, pur avendo occupato tutte le più distanti zone di espansione, ha svuotato il centro sia di popolo che di importanza.

Abbiamo voluto far pervenire questa nota, a nome di tutti i cittadini di Potenza che hanno potuto conoscerlo ed apprezzarlo, un saluto di stima e considerazione, al caro amico Antonio Bellino, che ora vive nel rammarico dei suoi anni migliori in cui potè recitare brillantemente il suo ruolo politico ed amministrativo ed anche di presidente dell’area industriale, in maniera fattiva, data la sua affabilità la profonda umanità, la forte comunicativa, la intraprendenza, la capacità di essere dovunque con la gente, la dimestichezza di svolgere il compito difficilissimo com’è tutt’ora quello di sindaco di questa città. Siamo certi che insieme al nostro saluto vi è il grato ricordo di tutti coloro che, in quegli anni, come noi, furono con lui al Consiglio Comunale di Potenza. ( LE FOTO SONO STATE GENTILMENTE CONCESSE DALL’.ON. PEPPINO MOLINARI)

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Sull' Autore

LUCIO TUFANO: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE “Per il centenario di Potenza capoluogo (1806-2006)” – Edizioni Spartaco 2008. S. Maria C. V. (Ce). Lucio Tufano, “Dal regale teatro di campagna”. Edit. Baratto Libri. Roma 1987. Lucio Tufano, “Le dissolute ragnatele del sapore”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “Carnevale, Carnevalone e Carnevalicchio”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “I segnalatori. I poteri della paura”. AA. VV., Calice Editore; “La forza della tradizione”, art. da “La Nuova Basilicata” del 27.5.199; “A spasso per il tempo”, art. da “La Nuova Basilicata” del 29.5.1999; “Speciale sfilata dei Turchi (a cura di), art. da “Città domani” del 27.5.1990; “Potenza come un bazar” art. da “La Nuova Basilicata” del 26.5.2000; “Ai turchi serve marketing” art. da “La Nuova Basilicata” del 1.6.2000; “Gli spots ricchi e quelli poveri della civiltà artigiana”, art. da “Controsenso” del 10 giugno 2008; “I brevettari”, art. da Il Quotidiano di Basilicata; “Sarachedda e l’epopea degli stracci”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20.2.1996; “La ribalta dei vicoli e dei sottani”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Lucio Tufano, "Il Kanapone" – Calice editore, Rionero in Vulture. Lucio Tufano "Lo Sconfittoriale" – Calice editore, Rionero in Vulture.

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