Al rilancio della politica industriale lucana manca il tassello di una nuova mission dei Consorzi industriali, i quali , sopratutto per quanto riguarda quello di Potenza, non riescono a rientrare in una normalità gestionale per evidenti e perduranti sfasature fra costi e ricavi. L’analisi è del Cseres, il centro studi regionali che fa capo a Pietro Simonetti, e che, in un comunicato, porta all’attezione dell’opinione pubblica alcune incongruenze che impediscono la messa a regime di quegli enti. L’ASI di Potenza, ad esempio, continua perdere oltre cinque milioni all’anno per una esternalizzazione dei rifiuti non andata a buon fine e per dei costi impropri di acquisto e rivendita dell’acqua alle imprese ( e cioè acquista l’acqua dal Consorzio di Bonifica a 0,36 centesimi e la trasferisce a 0,26 . E questo mentre l’Ente Irrigazione la vende al Consorzio a 0,15). Stessa cosa per l’energia elettrica, che l’ASI potrebbe comprare dalla Sel a prezzi ridotti, ma che non può cambiare fornitore se prima non liquida il gestore precedente ).. E via di questo passo. Lo stesso mutuo che doveva servire per aprire la fase di risanamento, sulla base del finanziamento assicurato dalla regione non si riesce a stipularlo, in mancanza di assicurazioni più concrete per il sistema bancario.Insomma, dice il Cseres, è arrivato il momento di prendere di petto questa situazione e di trovare soluzioni nuove, a cominciare dalla istituzione di un solo consorzio regionale, come pure è stato fatto per quelli di bonifica. Ci sono ad esempio oltre un centinaio di capannoni che sono inutilizzati , così come i Consorzi stessi hanno rinunciato a esplicare tuttte quelle funzioni che l’allora Cassa del mezzogiorno aveva loro assegnati. Si tratta dunque di affrontare la questione con tutte le idee possibili per arginare un declino e rimettere le cinque aree territoriali al centro di una politica industriale fatta di attrazione di iniziative, convenienze allocative, minori costi e servizi più adeguati. Essenziale è anche prendere atto – dice Simonetti- che le curatele fallimentari gestiscono i capannoni con il passo della lentezza.cosi si distrugge un patrimonio di almeno 300 milioni e si nutre la disoccupazione. Alcuni esempi: i capannoni dell’ex felandina, gabbioni padula, sorrentino e via elencando. Per non parlare di quelli occupati abusivamente o per una norma tutta lucana di “usucapione”. Da qui l’urgenza di riorganizzare la cornice entro cui l’attività di logistica industriale deve funzionare: per la riutilizzazione dei capannoni e ‘ necessario un piano urgente utilizzando le risorse nazionali,comunitarie e regionali,dalla logistica,automotive,alla nuova filiera della agricoltura 3.0 con le nuove tecnologie che tanto successo stanno ottenendo nel modo e in Italia.”
MACERIE DI UNA POLITICA INDUSTRIALE
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