IOLANDA CARELLA E SALVATORE SEBASTE
ACCETTURA
Accettura si trova al centro di un’interessante zona archeologica. Statuette e sepolcri rinvenuti inducono a pensare che fosse popolata già nei secoli IV-III a.C. Il Malpica afferma che sull’antichità di Accettura disputarono Cluverio, Wesselingio e Olstenio. Il Racioppi ritiene che possa essere stata fondata in prossimità delle rovine d’alcuni villaggi della Magna Grecia tra il VI e X secolo e che il nome Accettura derivi da Acceptor –Accipiter, sparviero (animale allevato per i divertimenti venatori dei nobili) o da Acceptoia, località in cui si custodivano e si allevavano gli sparvieri, o ancora da Acceptae, quote o lotti di terre assegnati ai coloni o ai soldati. Secondo l’etimologia popolare, Accettura significherebbe Colei che accetta tutti; infatti, gli accetturesi sono molto ospitali. Intorno al 1150 divenne feudo della contea di Montescaglioso e, ancora oggi, ha l’aspetto di una cittadina medioevale. Il paese è circondato da montagne e da una fitta foresta dove, fino a pochi decenni fa, vivevano numerosi cinghiali. La boscosità del paesaggio e la povertà in cui vive la popolazione sono lo sfondo naturale e umano della festa, in onore di san Giuliano, che si celebra a Pentecoste. Il Maggio è un fatto mitico, una festa della natura (legata ad antichi culti agrari) che ha una componente precristiana ed una cristiana che s’integrano; essa è fondata sull’antico culto degli alberi, molto vivo nell’età preistorica e medioevale.
Ex convento frances
cano, la Parrocchia di Sant’Antonio restaurata nel secolo scorso, offre nell’interno a sinistra due tele dipinte ad olio: S. Rosa tra S. Donato e S. Vito (fig. 2) del XVIII secolo, realizzata da a
rtista sconosciuto che manifesta nell’opera una raffinata eleganza di linee ed immagini surr
eali e (fig. 3) l’Annunciazione del XVII secolo, di Attilio De Laurentis.
L’artista risolve l’incontro tra le due figure in termini d’intensa analisi introspettiva, culminante nello sguardo drammatico della Vergine. L’angelo punta il dito della mano destra verso il cielo per indicare che tutto è stabilito da Dio Padre, disegnato in una nuvola di luce gialla, mentre la bionda fiamma, in cui è rappresentata una colomba, illumina la Vergine. La Madonna è dipinta come una ricca dama del ‘600 nell’atto di alzarsi dalla sedia; l’angelo indossa una veste rosa e gialla con forti chiaroscuri che ricordano una certa pittura caravaggesca; i visi rinascimentali sono minuti e gentili, mentre la serenità cede tuttavia ad accenti più vibrati e drammatici. La scena si svolge all’interno di una stanza, delineata secondo impeccabili calcoli prospettici. Sullo sfondo, a sinistra, un arco e delle case fanno pensare al Masaccio, mentre al centro in basso c’è il ritratto del committente. Il De Laurentis, in quest’opera, riesce a conciliare i vari elementi del passato col presente e mostra le sue conoscenze nel campo dell’arte, che arrivava in provincia attraverso le stampe.
Sulla parete dell’altare centrale, in alto, domina la tela del sec. XVII l’Incoronazione della Madonna col Bambino, S. Antonio e S. Francesco. Ai lati dell’altare si notano le statue lignee policrome dell’Addolorata e di Sant’Antonio e la statua di un altro santo, non ancora identificato. Al soff
itto c’è l’affresco del sec. XIX di Sant’Antonio. Dietro al santo è raffigurata la facciata del vecchio convento. L’altare centrale è abbellito dal bassorilievo di gesso (fig. 4) l’Ultima Cena di Rocco Molinari.
Nella piazzetta di Sant’Antonio si trova una Croce, in pietra, restaurata nel 1854.
Nella casa parrocchiale è conservata (fig. 5) la settecentesca tela dipinta a olio dell’Addolorata con Santa Rosa e un santo vescovo, del
XVIII secolo.
Si arriva per vie strette e in salita (fig. 6) alla Chiesa dell’Annunziata, datata 1588, ma pare esistesse già nel 1154. Nell’interno, al centro in alto, sopra l’altare si nota (fig. 7) un’Annunciazione, olio dipinto su tela del XVII-XVIII secolo, di autore sconosciuto.
È un’annunciazione diversa da quelle conosciute, poiché la disposizione delle figure è alla rovescia: la Vergine è a destra, mentre l’angelo è a sinistra; emerge subito dallo sfondo di nuvole grigie la luce che illumina lo Spirito Santo e le due figure, che sono delineate secondo un criterio di idealizzazione e ricerca d’una bellezza pura e ideale; la Madonna ha l’aspetto profondamente umano e lo sguardo sorpreso; i colori sono vigorosi, vivificati da pennellate rapide e sicure e
da un pastoso chiaroscuro: regna un realismo spoglio ed essenziale. Più in basso, sempre sopra l’altare principale, al centro, si vede una statua (anticamente a mezzo busto) in legno policromo, allungata poi in teloplastico; a destra si nota la statua della Madonna del Carmine, in legno policromo del sec. XVIII e a sinistra una nicchia con la Madonna delle Grazie. Alla parte opposta dell’altare, sono esposti arredi sacri e stendardi con immagini di santi, dipinti ad olio, tutti di buona fattura. All’ingresso c’è un’acquasantiera in pietra, forse medioevale.
La Chiesa Madre mostra: a sinistra la tela dei santi Giovanni e Paolo, la scultura lignea di San Giuliano, protettore di
Accettura e la base di legno ed oro sulla quale viene poggiata la statua di S. Giuliano durante la processione. La struttura è essenziale, elegante, armonica, fornita di una leggerissima intelaiatura di legno rivestita in oro, senza ornamenti scolpiti, volute o fregi capricciosi dello stile barocco. Nella navata di destra si possono ammirare (fig. 11) un magnifico Tabernacolo a forma di tempietto, in legno dorato, esistente già durante la visita pastorale del 1588, presso il convento di Sant’Antonio e un meraviglioso (fi
g. 12) Crocifisso ligneo presente, già nel Cinquecento, nel convento di Sant’Antonio. Il Crocifisso è conservato in una
nicchia, su cui sono dipinte ad olio la Madonna e la Maddalena, del Settecento. Osservando il Crocifisso si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un’opera tardo-gotica, quando frequentemente la sofferenza dell’immagine del Cristo era espressa con accenti di drammatica ed umana intensità. In alto, sul portone d’ingresso, c’è il dipinto raffigurante la Maddalena, del ‘700.
In Piazza del Popolo domina l’imponente gruppo marmoreo che rappresenta (fig. 13) il dramma dell’emigrazione, scolpito in un unico blocco di marmo di Carrara da Giuliano Roma
no. Il tema è inquietante e l’artista sente quasi la necessità di studiarne ogni particolare: in tutta la composizione non c’è pausa, non c’è riposo nei volti tormentati e scabri, solcati dai chiaroscuri. La scultura è di stile classico, ma trattata con una sensibilità assolutamente moderna, in una sintesi plastica, che anima le figure di una solennità possente e cosmica.
Nella Casa di San Giuliano sono conservati alcuni quadri materici del pittore Matteo Michele Magnante, in gesso su tela, che raccontano la festa del Maggio .L’artista, dopo aver guardato la realtà intorno a lui, regola nella materia la struttura essenziale. Trascrive le sue emozioni in una forma limpida, ferma e intensamente lirica. Il segno materico, sempre agile e nervoso, diventa poi il mezzo rivelatore di tutto il suo mondo interiore.
Nelle stanze del Municipio sono esposte opere realizzate da artisti per la festa del Maggio: alcuni medaglioni in bronzo di Francesco Pesce; i quadri dei pittori: Filazzola, Lisanti, Laurelli, Lorenzo, Martinelli, Rutigliano, Scarangella, Sebaste; il plastico in legno del giovane accetturese Luigi Piliero. Sulle pareti esterne ci sono tre grandi affreschi realizzati nel 1976 dal pittore rumeno Constantin Udroiu.
Ad Accettura sono nati diversi artisti che però si sono allontanati dal paese: Giuliano Romano, scultore, Rocco Molinari, scultore,che ha realizzato un’interessante serie di sculture sul Maggio, Matteo Michele Magnante, pittore , Francesco Pesce, pittore, nato nei primi anni del ‘900 che viveva e lavorava a Firenze.
Bibliografia
Giacomo Racioppi, Storia della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher & C., 1889. Ristampa anastatica, Matera, Grafica BMG.
Anna Grelle Iusco, Arte in Basilicata, Roma, De Luca Editore, 1981.
Domenico Notarangelo, Il Maggio di Accettura, Matera, Michele Liantonio Editore, 1975.